La “Cognizione del dolore” è probabilmente il miglior romanzo italiano del 900. Il fatto che sia incompiuto non sminuisce il suo valore. L’ho riletto in questi giorni e la forza evocativa delle parole di Carlo Emilio Gadda ha avuto l’effetto quasi naturale di farmi pensare con nostalgia, amore e dolore alla terra sudtirolese.
Anche l’Alto Adige, come l’ immaginario paese ispanofono sudamericano creato da Gadda, il Maradagàl, è una terra senza passato. O, meglio, il suo, il loro, passato, è legato ad una guerra, che cambia tutto, crea il momento di fondazione di un’identità forzata da un potere politico assurdo e repressivo, a partire del quale tutto sarà diverso. Anche la guerra, il Maragadàl, la fa con il vicino, con il Parapagàl, come l’Italia con l’Austria. E la storia viene ambientata attorno agli anni 20 ed ha come conseguenze, in Italia e Maragadàl, la nascita di una dittatura.
Avendola combattuta, Gadda sa bene quanto assurda fosse una guerra e quanto vicini fossero, al di là delle divise e delle bandiere, gli uomini che si ammazzavano in nome di una patria tanto lontana e volatile, quanto volubile ed indefinita. Ma l’assurdo, nei comportamenti umani, è la regola, purtroppo. E con l’assurdo Gadda vuole giocare.
Con Parapagàl e Maragadàl, per esempio, due nomi creati con l’amore per l’anagramma, per il gioco linguistico, per l’ironia graffiante per la figura retorica e con la coscienza dolorosa che le differenze che ci sono tra due corpi civili in sanguinoso conflitto, due stati e le loro popolazioni, sono infinitamente più piccole di ciò che li lega, unisce, caratterizza.
Il paese inventato da Gadda non esiste, ma l’Alto Adige, nato da una guerra persavinta, sì. E con il Sudtirolo la cognizione del dolore assume le forme della realtà dello splendore della natura e della follia della separazione giuridicamente sancita tra gli uomini. E la quotidianità della ripetizione del teatro assurdo delle divisioni e delle negazioni abitua i più, ma non calma e tacita chi vede e soffre. E pensa a Gadda ed alla “Cognizione”, con le angoscianti ripetizioni che accrescono un dolore compreso e sentito nella sua terribile pienezza. E riflette sulle “Le pere butirro, spiccate a metà ottobre” che “maturano repentinamente, nel corso di una notte, tra il 2 e il 7 novembre”, simbolo ironico di una società decadente, viziata e ipnotizzata dal benessere. E si sofferma sull’ingegnere Pirobutirro e sulla sua lacerante consapevolezza di vivere in un mondo assurdo ed iniquo.
E, al crepuscolo del percorso, alla scena della sera, con il protagonista che riflette sulla propria condizione e sul destino degli “altri”… “Maree d’uomini e di femmine! con distinguibile galleggiamento di parrucchieri di lusso, tenitrici di case pubbliche, fabbricanti di accessori per motociclette, e coccarde”.