La rivoluzione di internet ha portato, come prima conseguenza, una totale democratizzazione dell’accesso alle fonti dell’informazione. E, rispetto a venti anni fa, è difficile poter dire di non sapere, di non conoscere, di non essere al corrente. I fatti vengono trasmessi in rete in tempo reale e le notizie arrivano immediatamente anche dai paesi soggetti a controlli e censure. Nonostante tutto questo, grazie anche al fatto che in Internet si può trovare di tutto, sono aumentati i pericoli di manipolazione delle informazioni, di controllo delle stesse, di diffusione di notizie non veritiere e di parte.. Resta il fatto, però, che chi vuole informarsi lo può, criticamente, fare. Anche se, naturalmente, trattandosi di cose umane, si ha sempre il diritto di negare l’evidenza, pratica su cui internet non ha minimamente sortito effetti snellenti soprattutto in certe aree chiuse al mondo della cosiddetta Europa Unita .
La Rete, comunque, offre veramente tante possibilità per chi vuole capire e orientarsi e non bisogna andare nemmeno a cercare lontano in siti stranieri. Penso ai disegni di Bonvi, per esempio e ad un’opera storico-letteraria (poi pure teatrale) di qualche decennio fa: Il formaggio e i vermi, di Carlo Ginzburg ( Il formaggio e i vermi. Il cosmo di un mugnaio del ’500. 1ª ed. 1976. Nuova ed. Torino, Einaudi 1999, pp. 188, € 18,50. ISBN 8806441493).
Il compianto Bonvi (Franco Fortunato Gilberto Augusto Bonvicini), scomparso nel 1995, è stato il creatore di tanti personaggi, ma la sua più famosa realizzazione è stata certamente quella delle Sturmtruppen: una satira sulla seconda “Guerra Mondiale”, vista attraverso gli occhi delle truppe tedesche. Bonvi non si limita però a prendere in giro la guerra, ma attacca i poteri che creano individui ciechi, sordi, muti davanti alla realtà: Yes men acritici e supini.
Bonvi, attraverso i soldaten “sbeffeggia, recita Wikipedia, per una volta -devo dire-esaustivamente, “l’obbedienza “cieka, pronta, assoluten”, in quanto leggendo il fumetto bisogna ricordare che il sadico sergente e/o gli invasati “uffizialen” potrebbero essere senza problemi dei presidi o dei capuffici”. O chiunque, sembra suggerirci la matita di Bonvi, abbia un ruolo anche minimo di potere e capacità di influenzare gli altri, le loro decisioni, la loro vita e libertà.
Per questi personaggi, passivi verso i forti e sempre pronti a fare le voce grossa con chi non può difendersi, la pietà artistica di Bonvi è inesistente. E ci invita a riflettere sulle conseguenze di un comportamento passivo. Come nel caso del “fiero camerata Galeazzo Musolesi”, l’italiano, in elmetto verde e divisa di due taglie troppo stretta, fascista fino al midollo ed oltre, botoletto macho modello credereobbedirecombattere, privo di autonomia decisionale, fanatico e pure subdolo e servile. Espressione di quel perenne, umano, metecismo che pensa che, attraverso la propria ignava semilibertà o servitù, si possa guadagnare qualcosa che vale il prezzo incommensurabile di quel che si è perso.
Anche Carlo Ginsburg, sottolinea la necessità di avere una visione critica del mondo e del potere, poco propenso ad accettare ogni deviazione dall’ortodossia consensuale. Fatto che, nel ‘500, poteva significare essere bruciati sul rogo. Come nel caso di Domenico Scandella, detto Menocchio. Di lui e del libro possiamo sapere molto attraverso la Rete. Per esempio, che ” Era nato -scrive Ginzburg- nel 1532 (al tempo del primo processo dichiarò di avere cinquantadue anni) a Montereale, un piccolo paese di collina del Friuli, 25 chilometri a nord di Pordenone, proprio a ridosso delle montagne. Qui era sempre vissuto, tranne due anni di bando in seguito a una rissa (1564-65), trascorsi ad Arba, un villaggio poco lontano, e in una località imprecisata della Carnia. Era sposato e aveva sette figli; altri quattro erano morti. Al canonico Giambattista Maro, vicario generale dell’inquisitore di Aquileia e Concordia, dichiarò che la sua attività era “di monaco, maragon, segar, far muro et altre cose”. Ma prevalentemente faceva il mugnaio; portava anche l’abito tradizionale dei mugnai, una veste, un mantello e un berretto di lana bianca. Così vestito di bianco si presentò al processo. (…)
Il 28 settembre 1583 Menocchio fu denunciato al Sant’Uffizio. L’accusa era di aver pronunciato parole “ereticali e empissime” su Cristo. Non si era trattato di una bestemmia occasionale: Menocchio aveva addirittura cercato di diffondere le sue opinioni, argomentandole (“praedicare et dogmatizzare non erubescit”). Ciò aggravava subito la sua posizione. (…)
Domenego Scandella, eretico del Cinquecento, pensava con la sua testa. “Anche se la storia è, sovente, storia di tirannie e di sopraffazioni, non si può non considerare che forse, ogni tanto, c’è bisogno di uomini liberi o di comunità che ponendosi contro l'”ortodossia” corrente affermano il loro diritto all’identità, e di conseguenza alla diversità, mettendo in atto coraggiose scelte di libertà. Menocchio – più o meno consapevolmente – è uno di questi” (http://skuola.tiscali.it/libri/garboli-formaggio-vermi.html).
“Due grandi eventi storici, resero possibile un caso come quello di Menocchio: l’invenzione della stampa e la Riforma. La stampa gli diede la possibilità di porre a confronto i libri con la tradizione orale in cui era cresciuto, e le parole per sciogliere il groppo di idee e fantasie che avvertiva dentro di sé. La Riforma gli diede l’audacia di comunicare ciò che sentiva la prete del villaggio, ai compaesani, agli inquisitori anche se non potè, come avrebbe voluto, dirle in faccia al papa, ai cardinali, ai principi. (…)”. Carlo Ginzburg..